Questo wend della cultura mi fa approfondire la storia di questa città dove, cinque anni orsono, ho trovato ospitalità e molto altro.
Passeggiata in discesa dal viale fino a piazza del papa, passando per la gremita piazza Cavour, stracolma di gente per uno degli appuntamenti tipici della città: se non è il mercatino dell’antiquariato, è la volta delle piante e di tutto ciò che le riguarda.
Slalom veloce tra le cosiddette “cocciole”, alberi da frutto, e fiori dai colori più disparati, per fiondarci verso Piazza del Plebiscito, o del papa: se chiedi ad ancona il nome, non puoi sbagliarti: c’è la statua lì in fondo che sovrasta questa piazza, immediatamente dietro i vicoli che scendono al porto attraverso portella della dogana.
Ciò che non ti aspetti. Al museo, le gentili hostess ci danno l’opzione telematica, ovvero ci forniscono di iphone4 nuovi di pacca, auricolare e l’app guida del museo; infatti su ogni pannello troviamo il simbolo con il numero relativo al tema , premiamo start e voci diverse narrano la storia di Ankon.
Storia che si articola dall’insediamento dei Dori Siracusani fino ad arrivare all’adesione al nascente stato italiano.
Il museo è piuttosto una poligrafica esposizione di pannelli didattici, con riproduzioni in stampa, teche con modellini, rari reperti sparsi, lucidi con progetti, qualche quadro e il plastico finale; i pannelli rendono molto bene e in maniera sintetica quanto si ascolta in auricolare: sono sufficientemente illuminati, di dimensioni apprezzabili, e regalano anche una certa creatività grafica, usando caratteri di scrittura diversi, sovrapposizioni immagine-scrittura, citazioni in latino, antico italico, o volgare italiano.
Il percorso è banalmente diacronico, ma diversamente non potrebbe essere per una fruizione immediata e di richiamo; anche perché rispetta in pieno il tema della ricostruzione per tappe della lunghissima storia di Ankon, accentandone i caratteri più squisitamente architettonici e storico-civili che non quelli religiosi, pur iper-presenti in ogni dove italiota, ancor più in una città tanto importante della marca pontificia.
Mentre il racconto via app va avanti, mi scopro a osservare sovrapposizioni della pianta dell’anfiteatro – di cui rimangono una minima parte recentemente restaurata e riaperta al pubblico e a manifestazioni per lo più canore – con quella dell’odierna struttura tentacolare anconetana: suggestivo; oppure, ammiro un reperto lapideo dell’arco del dacio Traiano, imperatore che ha riformato il porto, arricchendolo dal punto di vista strutturale e di centralità strategica -militare e commerciale – conferendogli un’importanza che poi sarà solo accresciuta nel corso dei secoli.
O ancora mi soffermo su quelli che erano gli indici di scambio commerciale tra Ancona e l’Oriente, con aperture verso Grecia, Anatolia, fino all’estremo levante del Catai, prima per il tramite del Comune di Firenze e poi per propria iniziativa, dando non poco rilievo in Adriatico, contemporaneamente alle potenze veneziana e turco-saracena; o ancora, si evidenzia l’ardore e il coraggio senza tempo della leggendaria Stamira a ricacciare il barbaro; e si continua con interessanti accenni sulla comunità ebraica, antica esistenza testimoniata da un’altra mappa che ricalca sovrapponendoli il vecchio ghetto e la moderna mappa cittadina (per il ghetto ebraico, si veda l’articolo su museo urbano diffuso: il parco del cardeto, ndr).
Una summa di eventi e testimonianze tutt’altro che facili da comporre in maniera così sintetica, sebbene personalmente avrei usato un più approfondito approccio sincronico. Data la luce diffusa, e ammirato da ciò che si para sui pannelli espositivi, non avevo fatto caso ai bottoni metallici per terra, inserti recanti le date e che segnano il percorso del museo stesso: bella idea. Tanto quanto quella di far luce su Ciriaco Pizzecolli (viaggiatore, epigrafista, archeologo,etc) e su Vincenzo Podesti (pittore) o Graziano Benincasa (autore della carta nautica del mediterraneo – XV sec.); o ancora come quella di esporre – rendendogli così i “dovuti” onori – un dipinto su tela di ampie dimensioni raffigurante l’albero genealogico della famiglia dei nobili Ferretti, con a un lato l’omonimo castello, poi divenuto Castelferretti, limitrofo ad Ancona verso Chiaravalle, e dall’altro il porto con un primo piano il Lazzaretto.
Il break è dato dalle scale, che portano al piano inferiore della struttura, dove il continuum tematico-temporale inizia tra l’altro con il richiamo al Vanvitelli, oserei dire un’archi-star ispirata ai dettami stilistici barocchismi e rinascimentali, che ad Ancona lascia opere come il molo del nuovo porto riprogettato su commissione di Clemente XII, l’Arco Clementino che ne funge da ingresso e infine l’opera simbolo di una città marinara: il Lazzaretto o Mole Vanvitelliana per l’appunto.
Ameno e degno di una regia satirica, è la caricatura del Vanvitelli, accanto ad altri ritratti. Noto nell’excursus, una pianta dell’Ancona settecentesca con un elenco di nomi di nobili, un numero accanto e la disposizione per censo delle relative abitazioni: un altro coupe de teatre per quanto mi riguarda, non avendone mai viste prima, e francamente riportandomi alla realtà dei fatti: dai tempi remoti fino a una certa emancipazione democratica, si ricordano per lo più i nobili, per gli averi, più che per quello che realmente hanno fatto.
Ma è la stuzzicante sagacia della regia museale che mi sorprende: dopo la mappa catastale di cui anzi detto, tre passi e compare in teca una stampa con l’esortazione a “egalitè, libertè, fraternitè”, quasi a voler contrappuntare immediatamente il vuoto “demografico/democratico” che un reperto di soli nobili può comportare! E da lì è uno scorrere abbastanza rapido sugli avvenimenti ancorché locali, sicuramente di quello che diventerà il respiro della nascitura italica patria, dall’impero napoleonico, al congresso restauratore di ancien regime conservatori, passando per moti di indipendenza, fino alla doverosa ubbidienza alla sabaudia-italia.
La conclusione che fronteggio è un vero capolavoro, soprattutto sapendo da chi è stato fatto: inclinato di 45° contro la parete di mattoni, campeggia un plastico in acero con la pianta dell’Ancona 800sca, realizzato -e questo è il bello – dagli studenti di un istituto scolastico (statale d’arte E. Mannucci); tre anni di lavoro – ’96 / 2000 – per eseguire un plastico semplicemente perfetto, anche nelle pieghe dell’allora campagna dietro la piazza del plebiscito.
La fine del tour mi lascia soddisfatto, anche e soprattutto per i rilievi più laici che religiosi, per alcuni dettagli della storia della città che ancora non conoscevo, e per quelle pieghe satiriche che ho letto nell’esposizione: forse solo involontarie, o forse è proprio la lettura della storia che, fatta secondo alcune evidenze, non può far altro che farci sorridere, amaramente o meno, di quanto i fatti del passato siano gran testimonio opponente o conseguente per quelli futuri.
Il presente è quello che al museo mancano gli originali esposti: molti sono al Museo Diocesano. E il presente è che le app non prevedono una versione in lingua per turisti stranieri: fuori di polemica, ma almeno l’inglese Ancona se lo meriterebbe nel Museo che di in essa ci mostra e di essa fa splendida mostra.
Tornando verso casa, saluti, un concerto per fiati in piazza Roma, ancora una folla di gente di una domenica anconitana all’insegna della sua storia, del suo nome, Ankon, che ogni volta che ti giri a guardarlo è proprio bello, specie quando rientro a casa, c’è il tramonto, e mi gusto lo spaccato tra corso Amendola e un pezzettino del porto: lo vedo sempre così, rosso/viola/indaco in alternanza… un’esplosione di colori che non ho mai visto in nessun posto del mondo, e in ogni posto del mondo lo porterò sempre dentro.
Francesco
Qui potete trovare imaggiori informazioni sul Museo:
“Museo della città – il museo che parla di Ancona”